FLA'
Erri de Luca (Napoli,
1950)
“Tu, mio” 1998
Finalmente un autore conterraneo.
Ammetto di essere positivamente disposta nel cominciare a leggere un libro
ambientato in luoghi che conosco. Mi sembra di non aver mai compreso appieno
nessuno dei luoghi in cui ho vissuto. Ne sono stata parte senza avere mai avuto
una visione di insieme. Leggere di questi luoghi mi fa sperare di aggiungere
dei pezzi lì dove ci sono spazi vuoti nel quadro.
Vediamo dunque quale spazio ha
colmato De Luca.
Sebbene la storia del libro si
svolga ad Ischia poco prima della dolce vita degli anni ’60, le memorie del
mondo degli adulti che circondano il sedicenne protagonista e quelle la sua
sovrannaturale esperienza, fanno della seconda guerra mondiale una seconda
ambientazione, ingombrante, la cui ombra supera il sole della presente estate
ischitana.
La lettura non mi ha attanagliata, soprattutto
all’inizio, dove l’introduzione del protagonista adolescente che matura durante
l’estate restando a contatto con gente più adulta e scegliendo come mentore un
vecchio pescatore, era un po’ troppo lontano dalla mia dimensione.
Le descrizioni delle difficoltà della vita
marittima mi hanno riportato alla mente quelle de “Il vecchio e il mare”, e
quindi incorrere di elementi paranormali, nel corso dell’opera, è stata davvero
una sorpresa.
Le parti che più ho apprezzato sono quelle che
dipingono piccoli episodi delle scene dei bombardamenti su Napoli. L’attenzione
del lettore viene distolta dai pericoli delle bombe verso piccoli particolari che
rivelano la natura dell’animo umano. Nella mia mente si costruivano scene da
film di Vittorio De Sica, capaci di strappare un sorriso, a volte amaro, anche
nelle situazioni più tragiche.
Un secondo set è
ambientato in Iugoslavia, al momento della guerra in cui gli italiani erano
alleati dei tedeschi e quindi complici-carnefici.
Le generazioni dei giovani fungono da anello di congiunzione
tra passato e presente. I vittime e oppressori si trovano sull’isola come
turisti, ma da ambo le parti nulla è stato dimenticato.
Il giovane protagonista del libro rivive tutto questo – sia
i ricordi di Napoli, che quelli della Iugoslavia – attraverso due
intermediazioni: quella dei racconti degli adulti, da lui inquisitoriamente
interrogati, e quella dei gesti che lo spirito che lo “possiede” gli costringe
a fare.
Lo spirito è quello di una vittima dei nazisti che, poco a
poco, si rende manifesto nel corpo del giovane, e riesce a far sentire alla
figlia, amica del ragazzo, ancora una volta la sua presenza.
Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta sembra seguire
un destino ineluttabile, che poco spazio lascia al ragazzino protagonista,
giovane e vecchio al tempo stesso, desideroso di capire quali sono le sue
origini e cosa accadrà oltre quell’estate.
Lo stile in cui il
libro è scritto tende a ricalcare le caratteristiche del parlato e ci sono
periodi in dialetto che ne confermano l’autenticità. I ricordi riportati sono
quelli dello stesso De Luca, della sua giovinezza trascorsa a Napoli e quelli
dell’esperienza di una guerra in Iugoslavia, trasposta a 50 anni di distanza.
Se mi chiedo quale spazio abbia colmato nel quadro questo
libro, potrei dire che ha più che altro levato da vecchie immagini la patina di
polvere che la mia memoria aveva lasciato si posasse.
Citazioni:
“(Nicola in Iugoslavia) aveva visto un cimitero mussulmano: "come il
nostro, ma sulla pietra al posto della croce ci stava la
luna". Aveva sentito piangere un lutto con gli stessi acuti delle
donne dell'isola, si era sentito a casa. “
“Entrarono gli americani e ogni famiglia ne
adottò uno. Da noi c’era Jim, un negro gigantesco, allegro e buon lavoratore. E
fu Jim a salvarci. […]Al suono della sirena dei bombardamenti nessuno voleva
muoversi. Jim era in casa e non volle sentire storie, “no, no“ gridava col suo
vocione buttando tutti fuori di casa e prendendo in braccio la nonna di mamma
che era sulla sedia a rotelle e, rapita dal colosso, gridava aiuto”
“Nei
ricoveri, le donne scappavano mettendo le cose preziose in una borsa e non se
ne separavano mai.
La
mamma si ricordava di una famiglia assai povera: la donna stringeva al petto
sempre una vecchia borsa. I suoi figli si stupivano che lei possedesse qualcosa
di valore. Un giorno nella corsa la donna cadde e rovesciò per terra il tesoro:
bottoni. Per non sfigurare, anche lei si era dotata di borsa inseparabile
riempendola per fare volume. Anche sotto le bombe una donna povera non voleva
essere da meno delle altre. Da allora, non la videro più.”
Nicola
il pescatore: “Io non capisco neanche il mare. Non so perché la barca galleggia,
perché il vento della tempesta fa le onde a mare e polvere a terra. Vivo al
mare da quando sono nato, e non lo capisco.”
“Cercare
risposte dagli altri è come calzarsi al piede la scarpa d’altri, che le
risposte uno se le deve dare da sé, su misura. Quelle degli altri sono scarpe
scomode”
“Io
sono stato in un posto dove i nemici eravamo noi. Nemici di una gente che non
ci aveva fatto niente. Mi mettevo scuorno”
“Zio
mi diceva che i nemici erano scomodi, pretendevano troppa attenzione e sentimento”
“mi
sembra che tu voglia intervenire sul passato per correggerlo[…]è già molto
proteggere il presente dagli sbagli, non far un male da poter riparare”
“In
momenti difficili non fare niente di male è diventare complici del male”
CHIARA
Erri
De Luca
C’è
stato un tempo in cui di De Luca mi nutrivo. Era un tempo in cui la meraviglia
della poesia si insinuava dovunque, nella mia vita di innamorata. Sedotta,
dalla poesia appunto.
E
quale cibo migliore, delle pagine di questo autore.
Le
sue parole, frasi, che si ripiegano su se stesse per mettere a fuoco, rivelarne,
il centro, il cuore. E quel cuore è ancora un’altra parola, di italiano, di napoletano,
a volte, che viene caricata di un significato in più. Ecco, lui, come un buon
fornaio (e la similitudine non è a caso), prende la sua parola e la farcisce,
scava tra la mollica e ne riempie il mezzo di un ripieno morbido, a volte
nostalgico, e poi la lascia lievitare, tra le pagine e gli occhi di chi legge.
Così
ti succede di incrociare tra le righe un pensiero che è anche il tuo e un
sentimento che è anche il tuo, o lo è stato, e ti chiedi come mai non sei
riuscito anche tu a esprimerlo in quel modo, bello. Che ti stupisce.
Perché
è la bellezza che ti colpisce, leggendo De Luca, che ti stupisce, la bellezza
del linguaggio. E della vita, delle esperienze, dei ricordi, dell’infanzia. E
della Bibbia. Il racconto per eccellenza, che De Luca ogni mattina all’alba
scruta in ebraico, traducendo versetto dopo versetto.
Nascono
da qui libri come In nome della madre,
un libretto delicatissimo che parla di una fanciulla, Miriàm, che ha saputo
amare di un amore struggente, lottando per esso, intimorita da un futuro che le
era stato assegnato, prima di diventare quella “Ave Maria” che tutto il mondo
stringe tra le labbra, con o senza fede, nel bene o nel male, tra suppliche e
imprecazioni.
Anche
questo è De Luca, e lo consiglio.
Quando
lo incontrai, proprio lui, seppe affascinarmi anche la sua persona, non solo le
sue parole: eravamo in una piccolissima libreria sotto i portici bolognesi, lui
coi suoi sandali da scalatore di montagne, che si levò, restando a piedi scalzi
sul legno del parquet, io vestita a fiori con il mio libretto in mano, per lui.
I ruoli invertiti, stavolta.
Perché
fu da lui che io iniziai a scrivere, da quel suo “Aceto, arcobaleno” che mi fu prestato con le pagine consunte.
Iniziai a scrivere, sempre meno parole, sempre più spazi, bianchi. Poesia,
appunto.Fino a quando la realtà non ha saputo riempire quegli spazi, con i suoi
colori.
Forse che sì e forse
che no
- divagazioni
testuali-
Che Winnie Puh sia
un maestro Zen
ho qualche dubbio.
Lo vedo lì
statuario nelle proprie certezze,
invidiabile e
autonoma essenza di vita,
il maestro zen.
Non Puh, che già nel nome…
e che anche quando
è solo non lo è mai, in fondo.
Prendi Porcelletto, Isaia, Christopher Robin, le Api, Kan e
Guro e Gufo,
richiudili in un barattolo di miele,
dallo in mano a Puh e…
avrai un maestro zen!
Insomma, se
Winnie Puh è un maestro zen,
Dylan Dog è il dalai lama
in persona,
Mowgli il piccolo Budda
e il Piccolo Principe l’incarnazione di Cristo
(in visita tra le miserie umane)
passando per Pippo e Spiderman e…
…“E poi basta, non
bisogna far sfoggio di storie!”
come dice un mio amico
che per sapere da dove venivano
le sue canzoni bastava dare
un’occhiata in giro
“una passeggiata nei dintorni di se stessi
era l’avventura più terribile che
potesse capitare a chiunque”
Lui,
che era solo uno dei tanti da spremere,
da prendere per idiota,
e forse lo era davvero, sì, un idiota stanco.
Io, invece,
dilettante gioioso, superficiale
e instabile (e instancabile)
“Questa loquace timidezza lo portava quindi
alle peggiori goffaggini,
a imprudenze di falena intorno al lume…”
Mi ricordo una poesia che
non riesco a ricordare,
una canzone che non è mai esistita
e un posto in cui non devo essere mai stato.
Come una lettera morta
mai giunta a destinazione.
Io,
ogni giorno scelgo la verità
con la quale intendo vivere.
“dietro
quegli occhi sereni si svolgeva
un festino di demoni…”
Cerco di essere pratica efficiente professionale.
Ma vorrei poter scegliere, sempre,
il desiderio come compagno…
…perché è bello.
La terra ha desiderio di altezza,
di cielo.
Spinge i continenti all’urto per innalzare creste…
E se è fatta deserto, fa polvere per salire.
La polvere è una vela, migra, scavalca mare.
Lo scirocco la porta dall’Africa,
ruba spezie ai mercati
e ci condisce la pioggia. *
(* Erri De Luca , “Tre
cavalli”)
Io,
“…stupido Orso di Zero Cervello!”
non so niente di troppe cose
per tenerne conto, però
a volte
affiora un’ignoranza che mi dà
nostalgia.
“Tutto perché, immagino, tutto perché
mi piace tanto il miele.”
Mi ricordo,
ma poi quando cerco di ricordarmi
mi dimentico.
“E’ per questo che gli piace
sentirla di nuovo – la storia,
questa storia -,
perché così diventa una storia vera
e non solo un
ricordo.”
A proposito di Poesia:
hai mai notato quell’albero laggiù ?
“Può darsi.” E poi?
“E poi basta, non bisogna far sfoggio di storie”.
A Efraim
Medina Reyes, Erri De Luca, Paulo, Coelho
Raymond Carver e , ovviamente,
Winnie Puh.
Ci ho
riflettuto.
Che non è, per
me
questione di
ruoli
ma di posti:
io voglio
starti
accanto.
E imparo,
intanto
il tempo della
distanza
la strada
della pacienza
- quella che mette un po’
di pace nell’attesa paziente
- *
Standomene qui
mentre lì, nel
tuo
silenzio
si gioca,
sento
anche qualcosa
di me.
Standomene qui
seduta come
chi
attende
sulla riva del
fiume
senza
affacciarsi
sullo specchio
dell’acqua
per non
prestare
neppure
per l’attimo
di un riflesso
il proprio
volto
a quel
cadavere
nemico
trascinato via
dalla
corrente.
(10 agosto duemilasette)
* Erri De Luca, “Tu, mio”
Stralci
da “Pocomeno”, C. Galignano